Cerca e trova immobili

INTERVISTA A RITA PAVONE"Ho due amori: l’Italia e la Svizzera"

14.10.02 - 08:33
A colloquio con Rita Pavone che festeggia 40 anni di carriera
Ecco uno dei dischi più rari di Rita secondo il mensile "Raro". È cantato in inglese è uscì in Germania nel 1968. È quotato attorno ai 300 franchi.
"Ho due amori: l’Italia e la Svizzera"
A colloquio con Rita Pavone che festeggia 40 anni di carriera

Proprio nell’ottobre  di 40 anni fa, una ragazzina diciassettenne di Torino partiva alla volta di Ariccia, località vicino Roma, per tentare la fortuna e cambiare la propria vita. Ci riuscì e il suo nome resterà nella storia della canzone italiana dato che Rita Pavone, circa 30 milioni di dischi venduti, ha lasciato indelebile la sua impronta musicale durante gli anni sessanta.

La storia di Rita Pavone assomiglia a una vera e propria favola, ricca di colpi di scena, di successi, di tormenti e dove –come più volte lei ha sottolineato-  per ogni cosa che le è stata data, qualcosa le è stata tolta, “e gioia e disperazione hanno viaggiato spesso sullo stesso binario, anche se in senso contrario”.

Abbiamo incontrato Rita, che da 34 anni ha scelto il Ticino come seconda Patria, per conoscere meglio questa favola e lei, con molta generosità, ci ha aperto la sua valigia di ricordi.

 

 

Che ricordo hai di quei giorni che partivi per Ariccia?

Fu l’ultima spiaggia. Avevo quasi deciso di mollare tutto. Cantavo dall’età di nove anni, ma non riuscivo ad emergere e ad oltrepassare la notorietà locale.. Mia madre mi consigliava di mettere nel cassetto i miei sogni di gloria. L’unico che mi appoggiava era mio padre, il quale di nascosto scrisse una lettera a Teddy Reno che in quel periodo stava organizzando il primo festival degli sconosciuti di Ariccia per poter dare non solo ai nuovi talenti la possibilità di emergere, ma anche per dare un lustro a questa ridente, e fino ad allora poco nota, località laziale. Partecipai con la convinzione che mi trovavo di fronte alla mia ultima occasione. Persa questa possibilità sarei tornata a Torino e, seguendo il consiglio di mia madre mi sarei probabilmente sposata.

 

Fu proprio da quel Festival che nacque il fenomeno Pavone. Un successo planetario da far invidia a chiunque. Oggi, a distanza di tempo ti sei mai chiesta quale fosse il segreto di quel successo?

Ancora oggi me lo chiedo e non riesco a spiegarmelo. Ovunque andassi, dal Brasile all’Inghilterra, dalla Francia alla Germania, riuscivo ad entrare nelle Hit Parade internazionali con canzoni tradotte in lingua estera o realizzate appositamente per quel mercato. Ero io stessa la prima a meravigliarmi di tutto questo interesse nei miei confronti. Forse possedevo un tipo di vocalità particolare, un po’ acuta, tagliente, ma profondamente personale. Credo che proprio questa forte personalità sia stata la mia carta vincente. Avere personalità vuol dire non passare inosservati. Oggi invece c’è una tendenza dilagante a scopiazzare gli altri e questo ha portato inevitabilmente ad avere molti “prodotti fotocopia”. Nel mio caso inoltre possedevo un viso a metà strada tra la bambina e il maschietto, capelli rossi, faccia lentigginosa: insomma ero una novità nel panorama musicale.

 

In un periodo di non-globalizzazione come gli anni ’60, non era certo facile imporsi all’attenzione internazionale.

Certamente era più difficile. Oggi quando si incide un disco e si è supportati da una multinazionale, il disco esce contemporaneamente in tutto il mondo. Prima era tutto più difficile e faticoso e dovevamo lottare molto. Capitava anche di impiegare due anni prima di riuscire a concepire  e a realizzare un progetto musicale destinato ad esempio agli Stati Uniti.

 

Hai avuto la possibilità di conoscere moltissimi personaggi. Ma quali sono i quattro artisti che ti hanno lasciato qualcosa di importante?

 

Elvis Presley che ho avuto modo di conoscere a Nashville, Tom Jones, Ella Fitzgerald e il mio mito da adolescente, Brenda Lee. Ero una sua accanita fan e quando ho avuto modo di incontrarla e conoscerla è stato come toccare il cielo con un dito.

 

Facciamo un gioco. Ti cito quattro nomi di personaggi famosi che hanno avuto a che fare con te. Dimmi una frase per ognuno di loro. Iniziamo con Totò che con te ha girato un film, “Rita la figlia americana”.

Un uomo dotato di grande signorilità, di grande raffinatezza, un vero principe in fatto di personalità. Guardando i personaggi che interpretava nei suoi film, mai avrei pensato che potesse avere tutta quella galanteria.

 

Barbra Streisand?

Per lei userei l’espressione di “glaciale cortese”, nel senso che dietro questa sua algida presenza  nascondeva una simpatia e una semplicità non comuni.

 

Mina, protagonista insieme a te di quegli anni sessanta.

Mi sono incontrata  tre volte con lei. Sono stata sua ospite due volte, e lei mi ha fatto visita una volta. In tutti questi anni di residenza luganese, non ci siamo mai incontrate in Ticino, bensì sempre in Italia. È indiscutibile la sua grandezza e il suo talento sul piano musicale. Molto simpatica e divertente sul piano umano. Ricordo con piacere un nostro incontro avvenuto in un albergo  a Napoli durante i giorni in cui mi sono sposata con Teddy Reno e in quel periodo  il nostro matrimonio veniva criticato da chiunque. Lei mi è venuta incontro abbracciandomi e salutandomi come “Signora Ricordi” (Ricordi è il cognome di Teddy Reno, n.d.r). Un gesto simpatico che apprezzai molto.

 

Pippo Baudo

Tra di noi non c’è simpatia. Non ho mai litigato con lui, né ci sono mai stati screzi  tra noi, eppure non riusciamo a parlarci e a incontrarci. Più volte gli ho chiesto - in quanto direttore artistico- di partecipare al festival di Sanremo, oppure di prendere parte alle trasmissioni televisive che lui presenta, ma puntualmente non mi ha mai invitata. Mi piacerebbe capire cosa c’è all’origine di questo suo comportamento. Mi piacerebbe chiederglielo, ma come ho già scritto nell'autobiografia “Nel mio piccolo” ogni tentativo è stato finora inutile. Al di là di questo lo ritengo un grande uomo di spettacolo, che conosce molto bene il suo mestiere. Con sua moglie, Katia, c’è invece un bel rapporto. È una donna spiritosa e dotata di grande ironia. Insieme abbiamo recitato nella nuova riedizione televisiva del Giornalino di Giamburrasca.

 

Ogni carriera oltre ai momenti di gloria ha anche periodi un po’ più bui. A distanza di anni, secondo te quali sono gli errori o le scelte artistiche che non avresti dovuto fare?

Credo che uno dei miei errori sia stato quello di essermi identificata troppo nel personaggio di Gianburrasca. Nel momento in cui mi sono sposata e cercavo di proporre un repertorio molto più femminile di quanto non lo avessi fatto in passato, il pubblico  ha avuto qualche difficoltà nel riconoscermi. Continuava a vedermi legata al ragazzino pestifero e adolescenziale che cantava solo determinate canzoni. Personalmente invece, sentivo che c’era stata una crescita fisica e interiore notevole. Non  ero più una ragazzina, mi sentivo donna a tutti gli effetti,  ma il pubblico e gli addetti ai lavori ci hanno impiegato un po’ più di tempo per capirlo e accettare questa trasformazione. Ho iniziato a proporre brani come “Finalmente libera”, “Il mio uomo”, “Amici mai”, canzoni bellissime  che forse per molti sono stati dei veri e propri shock. La sterzata è stata troppo brusca, forse avrei dovuto mediare.

 

Negli anni sessanta e settanta hai condotto anche molte trasmissioni, oggi come mai questo accade di meno?

Bisognerebbe chiederlo ai dirigenti della Rai e di Mediaset. In questi ultimi anni la Rai,nei miei confronti, è stata più matrigna che mamma. Oggi, dopo 40 anni di carriera, posso permettermi il lusso di scegliere in quali trasmissioni partecipare. Con molto piacere accetterò l’invito di prendere parte al programma di Gianni Morandi, con il quale mi legano tantissimi ricordi, dato che il nostro esordio canoro è avvenuto contemporaneamente. Insieme abbiamo infatti debuttato nel 1972 nella trasmissione Rai “Alta Pressione” .  Devo inoltre ringraziare Maurizio Costanzo che lo scorso anno grazie alla trasmissione “I ragazzi irresistibili” mi ha dato la possibilità di potermi esprimere al meglio. Tutto sommato si può vivere anche senza televisione italiana e grazie al cielo continuo a tenere spettacoli in giro per il mondo. Il prossimo 9 novembre terrò ad esempio un concerto a Miami al “Miami Dade Country Auditorium” con un repertorio davvero speciale.

 

Dopo quaranta anni c’è qualcosa che non ti piace di questo lavoro?

È un bel lavoro, ma non mi piace tutto quello che vi ruota attorno, i compromessi, le umiliazioni, le ingiustizie, ma nonostante ciò continuo questo mestiere con la stessa passione  di quando ho iniziato e ogni volta che affronto una platea è come se fossi al mio debutto.

 

Nel 1968 sei venuta ad abitare in Ticino. Come mai questa scelta.

Perché in Italia non riuscivo ad avere più una mia tranquillità privata. Qualunque cosa facessi finiva sui giornali. La curiosità morbosa della stampa italiana nei confronti del mio matrimonio e del mio conflittuale rapporto con mio padre mi ha spinto a varcare il confine e a trovare quest’isola di pace che è il Canton Ticino. Sono molto grata a questo cantone per l’affetto e la discrezione che mi ha manifestato in tutti questi anni, e ho avuto modo di dirlo anche nella mia autobiografia.

 

Che critica faresti allora all’Italia?

Quella di avere tanti bravi artisti e non rendersene conto. Purtroppo l’Italia è un paese che non riesce a valorizzare quello che ha. Si rende conto sempre troppo tardi delle forze che possiede. È accaduto così con Totò, con Anna Magnani, e con tanti altri artisti.

 

Inevitabile farti una domanda su Internet. Qual è il rapporto tra Rita Pavone e la realtà virtuale?

Molto buono. Ho un sito ufficiale, e due altri siti, uno brasiliano e un altro norvegese. Rispondo personalmente alle mail che mi arrivano e alle critiche che giungono. So ad esempio che sul forum musicale del Corriere della Sera moderato dal critico Mario Luzzato Fegiz c’è stata una discussione circa la veridicità del fatto che i Pink Floyd mi avessero citata in una loro canzone degli anni settanta. Alcuni utenti erano dubbiosi, ma mi dispiace per loro. I Pink Floyd effettivamente nel 1974 sono venuti a vedermi in concerto a Cannes e in seguito mi hanno omaggiato parlando di me in un loro brano. Non nego che in seguito la canzone sia stata reincisa e proposta con un’altra versione in cui non compariva più il mio nome, d’altronde anch’io ho inciso “Datemi un martello” con due versioni differenti.

 

Negli anni ottanta e novanta c’è stata la svolta cantautrice e hai iniziato a scrivere canzoni. Pensi di continuare in questa dimensione?

Certamente. Continuo a scrivere canzoni. Recentemente ho inviato un brano molto bello a Milva, e mi è parsa interessata a includerlo nel suo prossimo lavoro discografico. L’Italia non ha ancora scoperto completamente questa mia nuova veste di cantautrice, come invece è accaduto all’estero. Sto lavorando a un progetto musicale a tratti rivoluzionario. Molto probabilmente verrà partorito all’estero e solo in un secondo tempo verrà presentato anche in Italia.

 

Concludiamo con un tuo sogno nel cassetto dopo quarant’anni di carriera.

Il mio sogno è tutto cinematografico e si chiama Pedro Almodovar. Amo tutti i suoi film. Se solo mi chiamasse lascerei qualunque cosa e correrei da lui.

 

Sal Feo

 

 

 

 

 

 

Clicca sull'icona fotografica qui accanto per vedere uno dei dischi più rari della sterminata discografia di Rita Pavone

Entra nel canale WhatsApp di Ticinonline.
NOTIZIE PIÙ LETTE